Chiesa di S. Marina
fine XVIII – inizio XIX secolo
Nella visita pastorale del 1749 a Ravina si censirono una chiesa di S. Marina e una “cappella pubblica”, seppur edificata dalla famiglia aristocratica Sizzo. Quest’ultima era dotata di altare marmoreo consacrato e dedicato alla natività di Maria. Nella primavera 1784 venne acquistata dalla comunità di Ravina con beneplacito della curia diocesana. L’assemblea di regola della comunità decise l’acquisto il 7 marzo e il contratto con il conte Antonio Sizzo venne sottoscritto a Trento il 19 aprile 1784 per una cifra complessiva di 695 fiorini, raccolta tra i possidenti locali ma con l’obbligo a tutti gli abitanti di svolgere turni di lavoro e forniture di materiali. La famiglia Sizzo si riservava una chiave d’entrata e la possibilità di assistere alle funzioni religiose da un’inferriata, separata dal resto dei fedeli attraverso uno spazio ricavato sopra la sacrestia.
L’edificio preesistente venne ampliato (la superficie dell’antica cappella Sizzo corrisponde all’attuale sola zona absidale) e per finanziare l’opera la comunità provvide a vendere a più riprese porzioni di terreni e sentieri gestiti in comune (in particolare in località “Costa” di Belvedere). I lavori vennero affidati a capimastri di origine lombarda, che fecero trasportare dalla vecchia chiesa di S. Marina posta nelle campagne (toponimo “Segrà vecio”) i portali e tre altari. Quello maggiore era stato infatti eretto in marmo nel 1779, mentre i due laterali erano stati pagati dalla famiglia Sizzo.
Completati in un decennio tetto e campanile, il 20 giugno 1804 la nuova chiesa di S. Marina veniva finalmente consacrata al suono delle campane già presenti nella vecchia chiesa. Erano anni di guerra e carestia, nonchè di saccheggi e gravosi acquartieramenti di truppe austriache e francesi che combattevano in tutta l’Italia settentrionale. Nonostante ciò e seppur con molta fatica, quando l’edificio venne completato Ravina disponeva di una chiesa ampia e moderna in una posizione centrale tra il “Paes vecio”, il “Borgo vecchio” e la costellazione di masi nelle campagne.
All’inizio del 1805 si vendette quindi il terreno sul quale sorgeva l’antica cappella di S. Marina e l’antico cimitero (da qui il toponimo “Segrà vecio”) posti nelle campagne sottostanti l’abitato di Ravina e sulla via che portava a Romagnano. Tale edificio, circondato da un cimitero, era ormai in disuso da tempo date le sue dimensioni e il suo decentramento dal cuore del borgo che lo rendeva scomodo e poco friubile soprattutto nei mesi invernali.
Citata già nel 1339, l’antica chiesa dipendeva dalla curazia di S. Apollinare di Piedicastello e venne ispezionata una prima volta durante la visita pastorale del 1579-1581. Aveva un altare maggiore consacrato alla santa e due altari laterali consacrati a S. Sebastiano e a S. Antonio. Dal 1502 qui aveva sede una confraternita laicale dedicata a S. Marina, che al momento della visita pastorale contava settanta capifamiglia aderenti. Sull’altare di S. Sebastiano compariva una data di consacrazione (“1674”) e nella chiesetta era conservata anche un reliquia di S. Marina, dichiarata autentica il 7 maggio 1729. Nel 1714 venne fondata la nuova Confraternita laicale del cingolo della Beata Vergina Maria, retta da due “sindaci” eletti tra gli aderenti e i cui vessilli erano conservati nell’antica chiesa di S. Marina.
Il curato di Ravina era stipendiato anche dalla comunità con denaro e beni di sussistenza ed abitava in un edificio in paese frutto di un lascito testamentario. La cura patrimoniale della chiesa e delle elemosine versate era invece riservata a un “sindaco” eletto annualmente dalla regola della comunità, affiancato da metà XVII secolo da due “questuanti”, obbligati a presentare annualmente registri di entrata e uscita all’assemblea di regola e al vice parroco di Piedicastello.
All’interno della chiesa si conservano tuttora due altari in marmo dell’originale cappella Sizzo, che presentano tracce di stemmi della casata (aquila vescovile alternata ad una barca in balia dei flutti con due fanciulli).
L’imponente pala d’altare ad olio posta alle spalle del presbiterio raffigura al vertice la Madonna della cintura. La composizione è ripartita orizzontalmente in due campi: in alto è presente la Madonna col bambino incoronata da due angioletti che reggono ognuno una cintura; ai lati sono inginocchiate S. Marina e S. Caterina d’Alessandria, mentre in basso sono effigiati S. Antonio da Padova e S. Agostino.
S. Caterina d’Alessandria (287-305ca) viene rappresentata con la corona in testa e vestita di abiti regali per sottolineare la sua origine principesca. La palma che tiene in mano indica il martirio, mentre la spada che compare sotto i suoi piedi simboleggia l’arma che le tolse la vita e la ruota dentata indica lo strumento del martirio. S. Marina di Bitinia (715-750) fu una monaca che visse sotto abiti maschili in un convento della Siria ed è venerata come santa anche dalla chiesa ortodossa e da quella copta. Le sue spoglie sono conservate dal XIII secolo a Venezia nella chiesa di S. Maria Formosa. È qui rappresentata con il bambino che allevò nel monastero maschile sotto falsa identità. S. Antonio (1195-1231) è raffigurato quindi con il tradizionale fiore di giglio, simbolo di purezza, che pare crescere dal suo petto, mentre ai suoi piedi si intravede un serpente, tradizionale esemplificazione del male e dell’eresia. S. Agostino (354-430) indossa infine mitra e paramenti vescovili, nonché un fiore di giglio al posto del libro che lo accompagna tradizionalmente.
Il dipinto è datato al terzo quarto del XVII secolo, è attribuito al pittore lombardo Carlo Pozzi e venne verosimilmente commissionato già per l’antica cappella Sizzo, sulla quale sorse ad inizio Ottocento l’attuale parrocchiale.