Ricucire

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“È venuta meno l’acqua buona della fiducia, abbiamo respirato l’aria pesante della reciproca diffidenza. Ora è tempo di ricucire.”
Sono un paio di frasi della lettera del vescovo, che ci propone una riflessione su questo tempo di post (speriamo)-pandemia. È tempo di ricucire, dice, segno che evidentemente c’è qualche strappo nella nostra società, nella nostra chiesa.
Ricucire: questo verbo è sparito dal nostro vocabolario pratico. I vestiti, oggi, non si ricuciono più… anzi, si strappano, se la moda lo richiede.
Forse abbiamo un po’ perso la capacità di ricucire anche gli strappi umani, facendo con le relazioni che si sfilacciano, quello che facciamo con i vestiti rotti: li buttiamo via. E invece siamo invitati a ricucire; la cucitura probabilmente non sarà perfetta, sulla pelle gratterà un poco, ma non possiamo pretendere di non avere mai a che fare con la ruvidezza.
Le toppe sugli strappi delle nostre relazioni ci ricordano che non possiamo, e non dobbiamo, vestire sempre e solo “firmato”.
E che anche la gente semplice, ruvida, ferita, è buona gente.
Un caro saluto.

don Gianni.