MORIRE

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Il progressivo ritorno alla normalità non riduca la pandemia a una pagina sgualcita nel libro delle nostre vite.
Non lo possiamo fare per il rispetto e l’onore che merita chi, giunto a quella pagina, si è trovato ad interrompere la propria narrazione.
Un lungo elenco di storie, recise in modo brusco: in Trentino il Covid si è portato via tante esistenze quanto un intero paese di medie dimensioni delle nostre vallate. Il loro venir meno ha i tratti del dramma: davanti ai nostri occhi resta l’espressione smarrita di chi si è trovato a perdere la vita in solitudine, mitigata sì dallo sguardo affettuoso di tanti angeli, ma nascosto dietro maschere e camici trasformati in elmi e corazze. In troppi non hanno nemmeno potuto avvertire il calore amorevole di una mano a compensare il gelo che li andava avvolgendo. Nessun volto amato, davanti al quale chiudere fiduciosi gli occhi.
Davanti a questa morte seriale siamo stati afoni, prima di tutto come Chiesa. Dallo scrigno della Parola di Dio, con fatica abbiamo saputo attingere la notizia che in Gesù la morte è vinta, e non siamo più soli nel nostro morire. Nelle nostre parole c’è stata ben poca traccia di questa salutare certezza, antidoto alla lacerazione di un così tragico distacco.
Presi dall’ansia di far ripartire la nostra macchina rituale, ci siamo scoperti smemorati e increduli anche di fronte alla profezia francescana che chiama la morte “sorella”, evitando di espellerla dall’orizzonte della nostra esistenza. La lacerazione dell’addio segna la vita delle persone. Talvolta in modo tragico. Tutti siamo stati colpiti emotivamente e scossi di fronte alle quattordici persone recentemente strappate alla vita dentro una funivia sfilatasi dal proprio binario per colpa dell’uomo. Quei volti raccontano una sofferenza inconsolabile. Ma proprio per questo indicano un di più, un’eccedenza.
L’inconsolabilità della morte, paradossalmente, si ribella all’idea di una vita consegnata al nulla. Diversamente, che cosa potranno raccontare la zia e la nonna al piccolo Eitan, i cui occhi smarriti cercano quelli di chi lo ha amato più di ogni altro? Chi è legittimato a ipotizzare che non rivedrà mai più sua madre, suo padre, il suo fratellino? “Chi educherà gli uomini a morire li educherà a vivere”, recita un noto aforisma del filosofo Montaigne.
Il lascito della pandemia è la consapevolezza profonda che non possiamo vivere lontano dall’incontro. Essere nel cuore di qualcuno è la chiave della qualità della vita. Su queste corde si muovono le parole del ladrone rivolte a Gesù sulla croce: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42). Il senso profondo di questo grido potremmo tradurlo: “Portami nel cuore, fammi spazio nella tua vita”.
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Occhi. Lettera alla comunità – Mons. Lauro Tisi