Cari parrocchiani, il Vangelo odierno ci presenta Gesù interessato a far comprendere lo spirito e il cuore della Legge. Agli occhi dei suoi contemporanei, egli apparve come un autentico dissacratore, capace soltanto di infrangere regole e leggi. Con le parole e la vita dimostrerà, poi, di non essere venuto per abolire, ma per completare la Legge, infondendole il suo spirito d’amore. Egli non l’ha semplicemente accostata e affidata a ognuno di noi, ma ci chiede di insegnarla diffondendo oltre che di eseguirla amandola.
Cari parrocchiani, «Non può restare nascosta una città che sta sopra un monte», afferma il vangelo di oggi. La parola del Signore richiede limpidezza, desidera trasparenza: è inutile nascondersi o mimetizzarsi. Devi essere quello che sei: un uomo di coscienza, un testimone. Nulla può supplire l’amore quando non c’è! Il vangelo squalifica il discepolo “talpa” che passa la vita in mezzo agli altri senza farsi apostolo del suo credo di fede e di amore.
Cari parrocchiani, tutto il lieto messaggio di Gesù si riflette nelle beatitudini come uno specchio ardente! E colui che ha accolto la buona novella nel più profondo di sé stesso e nel quale questa verità raggiunge le radici dell’esistenza, diventerà naturalmente misericordioso e indulgente nel giudizio che ha sugli altri. Sarà capace di diffondere la pace, perché egli stesso la possiederà. Se solamente fossimo in grado di vivere seguendo l’atteggiamento fondamentale delle beatitudini! Se solamente potessimo amare e avere fiducia come Gesù! Forse allora molti uomini che la vita ha reso amari e chiusi, ai quali le numerose delusioni hanno fatto perdere la fede in Dio e negli uomini, forse potrebbero ugualmente ricominciare a credere nella bontà di Dio e nella sua sollecitudine attraverso la bontà e la sollecitudine umane. Forse allora molti uomini potrebbero ugualmente contare su Dio per instaurare su questa terra il bene e offrirci quello che abbiamo sperato e atteso durante tutta la nostra vita: la sicurezza e la gioia!
Cari parrocchiani, l’evangelista Matteo, riprendendo un’immagine del libro di Isaia, ci dice quello che è Gesù per noi: la luce. Nella nostra vita, vediamo spesso tenebre, resistenze, difficoltà, compiti non risolti che si accumulano davanti a noi come un’enorme montagna, problemi con i figli, o gli amici, con la solitudine, il lavoro non gradito… Ed è tra tutte queste esperienze penose che ci raggiunge la “buona parola”: non vedete solo le tenebre, guardate anche la luce con cui Dio rischiara la vostra vita! Non siamo noi che diamo alla nostra vita il suo senso ultimo. È Lui. Non è né il nostro lavoro, né il nostro sapere, né il nostro successo. È Lui, e la luce che ci distribuisce. Perché il valore della nostra vita non si basa su quello che facciamo, né sulla considerazione o l’influenza che acquistiamo. Essa prende tutto il suo valore perché Dio ci guarda, si volta verso di noi, senza condizioni, qualsiasi sia il nostro merito, il nostro peccato. E lo sguardo di Dio, in Gesù, non si limita a vedere coloro che Lui chiamerà alla sua sequela, ma riesce a far vedere a loro il loro futuro, apre una prospettiva di futuro in cui impegnare l’intera propria vita. E così è della sua “parola”: luce e lampada per i passi dell’uomo (cf. Sal 119,105; Pr 6,23), capace di indicare una via da percorrere.
Insomma, lo sguardo e la parola di Gesù danno vita, suscitano vita, creano possibilità di futuro, illuminano di luce nuova la vita che una persona stava vivendo, offrendole un nuovo punto di vista da cui osservarla, mostrando che l’umano, opacizzato e menomato dalla malattia, dalla violenza, dalla miseria, è il luogo del vero culto a Dio (cf. Mt 4,23).
Cari parrocchiani, iniziamo il tempo liturgico “ordinario”, il tempo “dell’annuncio del regno di Dio”, e il vangelo odierno ci riporta – ancora una volta – innanzi al sipario del “Giordano” ove, prima della rappresentazione, compare un presentatore che farfuglia parole incomprensibili; sa quasi nulla di chi deve presentare, lo dice spudoratamente: “Io non lo conoscevo… non so niente del copione che verrà rappresentato; so solo che l’attore che tra breve entrerà in scena è quello giusto, è lui l’artista ispirato; fidatevi! Non so cosa dirà né cosa farà; ma sento che uscirete dallo spettacolo senza quei pesi con cui siete arrivati; saprete cosa significhi essere liberi e salvi!”.
Cari parrocchiani, la festa del Battesimo di Gesù ci ricorda che anche il nostro Battesimo è stato un’immersione nella “Sorgente della Vita”, l’inizio del nostro abitare in Dio, dopo che Dio è venuto ad abitare in mezzo a noi. Lo squarciarsi dei cieli, poi, ci rivela l’orizzonte nuovo che si apre sopra di noi; ed è quello squarcio che cerchiamo dentro le vicende quotidiane, perché ci aiuti a illuminare e a rileggere con speranza quello che viviamo. Da questo cielo aperto viene a noi, come a Gesù, lo Spirito divino, in forma di colomba. È la vita stessa di Dio capace di avvolgerci con il suo calore, di entrare in noi, trasformando affetti, gesti, parole, azioni.
Cari parrocchiani, desidero augurarvi un buon Natale all’insegna della concordia e della pace! Nonostante qualche strascico di pandemia possiamo ritrovarci più serenamente nella “normalità”. Invece non possiamo dimenticare chi nel mondo vive ancora nell’ingiustizia sociale e nell’angoscia della guerra, come nella vicina Ucraina. E mentre Papa Francesco rinnova i suoi appelli alla pace noi ci impegniamo a pregare affinché Dio illumini i potenti della terra. Purtroppo anche nella nostra società vediamo tanto egoismo e tanta cattiveria dinanzi a cui siamo chiamati a seminare la solidarietà e la pace nei nostri ambienti di vita quotidiana. Il Natale di Gesù ci “regali” la capacità di allargare i nostri cuori e le nostre menti talvolta induriti da un individualismo dilagante. Con l’“incarnazione” Dio si è preso cura di noi ricordandoci di che pasta siamo fatti ma anche a quale spessore “umano-divino” possiamo arrivare se anche noi ci prendiamo cura gli uni degli altri.
Cari parrocchiani, prendendo con sé Maria sua sposa, Giuseppe la prese come dono di Dio, con il Bambino che portava dentro di sé, condividendo la sua fede, la sua attesa, adorando il mistero della sua maternità. Giuseppe ha esercitato la sua paternità nei confronti di Gesù chiamandolo per nome, annunciando per primo al mondo che la salvezza è presente, che solo in quel nome possiamo essere salvati. La vita di Giuseppe consistente nell’accogliere con premura, con gioia e come promessa di speranza quel Bambino e sua Madre, nel difenderlo, per poi scomparire sereno, silenziosamente nell’abbraccio del Padre. Anche noi in questi giorni siamo chiamati ad accogliere Gesù, a chiamarlo per nome, nella nostra quotidianità. In tal modo anche la nostra vita diventa storia di salvezza per il mondo.
Cari parrocchiani, il Vangelo di oggi ci dice che l’opera di Dio è un’opera di trasformazione interiore che inizia in noi e non fuori di noi. Il Messia non viene costringendo tutti ad obbedirgli così che Lui aggiusterà tutte le cose storte. No, Egli viene non costringendo nessuno. Egli, in modo nuovo, viene per portare l’uomo dalla sua condizione di incompletezza alla condizione di figlio di Dio. È un cambiamento interiore, non secondo i nostri gusti e desideri, ma secondo il desiderio di Dio su di noi, che è molto più grande e più bello di ciò che noi possiamo immaginare. Beato, dunque, colui che sa accogliere la novità di Dio nella propria vita!
Cari parrocchiani, quando gli uomini sognano una nuova società parlano certamente di un mondo in cui si affermano la giustizia e la pace. Ma quante volte il sogno rimane in realtà centrato su loro stessi. Il mondo perfetto, in fondo, è quello che garantirà il loro potere e per suo mezzo li renderà invulnerabili. La liturgia di questa seconda domenica di Avvento risalta, invece, la distanza che separa il Regno di Dio da quello desiderato spontaneamente dagli uomini. In esso la potenza del Messia è il servizio e la prima qualità dei suoi discepoli è la capacità di accoglienza e ciò suppone una conversione radicale.