La Chiesa è come una grande orchestra

Scarica il bollettino Insieme del 28 novembre

«La Chiesa è come una grande orchestra in cui c’è varietà… E questo è il bello della Chiesa: ognuno porta il suo, quello che Dio gli ha dato, per arricchire gli altri… è una diversità che non entra in conflitto, non si contrappone; è una varietà che si lascia fondere in armonia dallo Spirito Santo»
(Catechesi del Santo Padre Udienza Generale, 09/10/2013)
Ci stiamo preparando al Natale: il Signore verrà ad abitare nelle nostre case, nei nostri cuori, nella nostra comunità cristiana. Come è scritto nell’Apocalisse: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (AP 3,20). Così Gesù si presenterà. Non scenderà da nessun camino, non pretenderà il lusso di essere accolto in case colme di regali, di luci e di alberi di Natale. Il nostro Dio che si fa bambino chiede soltanto di aprire, prima le nostre orecchie per ascoltare la sua Parola, poi la porta del cuore per portarvi serenità, gioia e convivialità.
Si, una volta aperto, spalancato il cuore inizia la festa. L’invito alla cena è l’invito alla messa che è memoriale di quell’ultima cena in cui il Signore si è donato completamente a noi. Prepariamoci allora partecipando alle celebrazioni (sia in presenza che via radio o televisione), in questo periodo in cui il virus ci tiene lontani, sentiamoci sempre di più comunità unita da Dio e capace di donare a nostra volta quell’amore che Lui ci dona a piene mani.
L’immagine dell’orchestra che usa il Papa, nella frase di cappello a questo scritto, rappresenta bene la realtà della nostra parrocchia di Ravina e Romagnano. La diversità di abitare in un posto piuttosto che nell’altro, l’appartenere a vari gruppi che compongono la comunità, non sono segno di ldivisione. Piuttosto raccolgono la possibilità di collaborare insieme per suonare all’unisono la sinfonia scritta nel Vangelo. La bellezza di una composizione musicale si apprezza quando i diversi strumenti, e il loro suono, si fondono per dare origine all’armonia. Questa stessa parola ha anche un significato emozionale molto forte a Natale: rappresenta il focolare familiare dove, i bambini con i loro giochi e gli adulti con il loro desiderio di pace, formano una culla accogliente per il Bambino che viene.
Non tutte le famiglie possono, però, vivere questa realtà armonica: pensiamo a quelle in cui il virus ha portato via qualche caro, pensiamo a quelle che non riescono ad arrivare a fine mese e hanno bisogno dell’aiuto alimentare della Caritas. Ma essere comunità/orchestra vuol dire anche far partecipare tutti alla sinfonia, ecco perché nelle chiese, per tutto il periodo d’Avvento, saranno presenti dei cesti per la raccolta di beni alimentari a lunga conservazione che saranno distribuiti alle famiglie bisognose dei nostri paesi.
Concludo ponendo attenzione al direttore dell’orchestra: allo Spirito Santo.
Egli che ha fatto in modo che nel grembo della Vergine Maria nascesse il Salvatore, ci aiuti a fondere insieme le nostre voci e i nostri strumenti.
Insieme potremo per dare origine a quel canto di Natale che nelle sue strofe dice:
Qui spezzi ancora il pane in mezzo a noi
e chiunque mangerà non avrà più fame.
Qui vive la tua chiesa intorno a te
dove ognuno troverà la sua vera casa.
Verbum caro factum est…
Il Verbo, il Figlio di Dio si è fatto uomo ed ha posto la sua casa in mezzo a
noi, nell’intimo del nostro cuore. Facciamo vivere e risuonare nel mondo le
note del più grande concerto composto da Dio: la sua Chiesa.
Buon Avvento a Tutte e a Tutti.

Don Emanuele

SGUARDI

Scarica il bollettino Insieme del 21 novembre

Chi punta al tornaconto immediato non è capace di guardare oltre. È destinato al qui e ora, al piccolo cabotaggio. Non ha il. coraggio e il gusto di disegnare una rotta, si affida alla navigazione a vista.
“Ogni giorno scegli tu dove guardare”, scriveva il lombardo Marco Gallo, scomparso a soli 17 anni a causa di un incidente in moto, in una mattina piovosa del novembre 2011. Un dramma, com’è ogni morte giovane. Ma dal quale, giorno dopo giorno, è scaturita una straordinaria testimonianza di vitalità. Lo attestano i suoi familiari, le persone che lo conobbero e i suoi scritti intrisi di riferimenti biblici. La sera precedente la sua morte aveva appuntato sulla parete della sua stanza la frase evangelica: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Lc 24,6). Marco è divenuto un’icona, per tanti altri, a mettersi in gioco: ogni giorno ti attende la tua opzione, sei chiamato a prendere posizione. Senza scelta, non c’è vita. Una vita che vinca la morte.
La pandemia sembra averci tolto la facoltà di scegliere: abbiamo dovuto sottostare e tuttora sottostiamo a decisioni altrui, seppur finalizzate al bene comune. Quando torneremo, speriamo il prima possibile, alla normalità, facciamoccustodi dello straordinario tesoro della possibilità di decidere, liberamente, dove orientare i nostri occhi.

Questa è la vera fonte di speranza!
E sarà ancora più bello se non si tratterà di uno sguardo solitario, come ci ricorda un altro giovane orgoglioso delle sue scelte, Antonio Megalizzi: “Il tempo è troppo prezioso per passarlo da soli. La vita troppo breve per non donarla a chi ami. Il cielo troppo azzurro per guardarlo senza nessuno a fianco. Nulla muore e tutto dura in eterno”. Nella cenere della pandemia, Marco e Antonio ci regalano oggi un’eredità spirituale che profuma già di Risurrezione.

Occhi. Lettera alla comunità – Mons. Lauro Tisi

MORIRE

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Il progressivo ritorno alla normalità non riduca la pandemia a una pagina sgualcita nel libro delle nostre vite.
Non lo possiamo fare per il rispetto e l’onore che merita chi, giunto a quella pagina, si è trovato ad interrompere la propria narrazione.
Un lungo elenco di storie, recise in modo brusco: in Trentino il Covid si è portato via tante esistenze quanto un intero paese di medie dimensioni delle nostre vallate. Il loro venir meno ha i tratti del dramma: davanti ai nostri occhi resta l’espressione smarrita di chi si è trovato a perdere la vita in solitudine, mitigata sì dallo sguardo affettuoso di tanti angeli, ma nascosto dietro maschere e camici trasformati in elmi e corazze. In troppi non hanno nemmeno potuto avvertire il calore amorevole di una mano a compensare il gelo che li andava avvolgendo. Nessun volto amato, davanti al quale chiudere fiduciosi gli occhi.
Davanti a questa morte seriale siamo stati afoni, prima di tutto come Chiesa. Dallo scrigno della Parola di Dio, con fatica abbiamo saputo attingere la notizia che in Gesù la morte è vinta, e non siamo più soli nel nostro morire. Nelle nostre parole c’è stata ben poca traccia di questa salutare certezza, antidoto alla lacerazione di un così tragico distacco.
Presi dall’ansia di far ripartire la nostra macchina rituale, ci siamo scoperti smemorati e increduli anche di fronte alla profezia francescana che chiama la morte “sorella”, evitando di espellerla dall’orizzonte della nostra esistenza. La lacerazione dell’addio segna la vita delle persone. Talvolta in modo tragico. Tutti siamo stati colpiti emotivamente e scossi di fronte alle quattordici persone recentemente strappate alla vita dentro una funivia sfilatasi dal proprio binario per colpa dell’uomo. Quei volti raccontano una sofferenza inconsolabile. Ma proprio per questo indicano un di più, un’eccedenza.
L’inconsolabilità della morte, paradossalmente, si ribella all’idea di una vita consegnata al nulla. Diversamente, che cosa potranno raccontare la zia e la nonna al piccolo Eitan, i cui occhi smarriti cercano quelli di chi lo ha amato più di ogni altro? Chi è legittimato a ipotizzare che non rivedrà mai più sua madre, suo padre, il suo fratellino? “Chi educherà gli uomini a morire li educherà a vivere”, recita un noto aforisma del filosofo Montaigne.
Il lascito della pandemia è la consapevolezza profonda che non possiamo vivere lontano dall’incontro. Essere nel cuore di qualcuno è la chiave della qualità della vita. Su queste corde si muovono le parole del ladrone rivolte a Gesù sulla croce: “Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno” (Lc 23,42). Il senso profondo di questo grido potremmo tradurlo: “Portami nel cuore, fammi spazio nella tua vita”.
3 continua…

Occhi. Lettera alla comunità – Mons. Lauro Tisi

CIBO

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Attorno alla stessa tavola, speriamo di poter tornare ad osservarci con stupore e curiosità. Il non poter condividere cibo, esperienze, opinioni, confidenze ha pesato oltremodo.
Dovremo far tesoro di gesti prima abituali, per troppo tempo impediti dall’emergenza. Ma spetterà a noi affrancarli dalla routine in cui, in precedenza, li avevamo superficialmente relegati. Potremo così respirare aria di famiglia, consolidare amicizie, assaporare il gusto della fraternità e della festa. Sarà nutrimento per il cuore prima ancora di sostentamento fisico o, indirettamente, occasione di rilancio economico.
Abbiamo patito l’isolamento. La vita scolastica, lavorativa, associativa e quella delle nostre comunità ha subìto un arresto imprevisto e prolungato, da cui non sarà
facile riprendersi. Nessun collegamento on-line, pur strategico e talora da valorizzare anche in futuro, potrà essere sostitutivo del convocarci in presenza, stringerci la mano, osare un abbraccio. Ci siamo dotati di protocolli che ci hanno saggiamente distanziati.
In futuro non dovranno diventare alibi alla nostra incapacità di ristabilire relazioni significative. Sappiamo di averne bisogno come il pane. Ma siamo pure consapevoli che dovremo tornare ad impararne la grammatica di base.

Ed anche in quest’ambito saremo chiamati a non dare più nulla per scontato. L’essere fisicamente nello stesso luogo, condividere la dimensione spazio-temporale senza intermediazione tecnologica, dovrà inaugurare un nuovo modo di comunicare.
Ci è mancata tanto la forza del linguaggio non verbale: un gesto, un movimento involontario, un effetto imprevisto.
Cogliere le reazioni dei nostri volti, soppesare il battito delle ciglia, saper leggere, in tal senso, anche i segnali deboli, sarà vitale per la ricchezza di relazioni che si riaprono alla curiosità del nuovo, alla scommessa sull’altro, alla fiducia reciproca. Togliere la mascherina che ci oscura il volto da un anno e mezzo sia una porta aperta alla sorpresa. Consapevoli che le relazioni autentiche non potranno mai essere “protocollate”.
2 continua…

Occhi. Lettera alla comunità – Mons. Lauro Tisi

Pronti, partenza, via. Un’avventura comune inizia.

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La vita ci fa fare piccoli e grandi passi in avanti, ma se poniamo il Signore come nostra guida, tutto è destinato a svilupparsi per il meglio. L’importante è tenere ben aperti gli occhi del cuore per vedere i segnali che Dio mette sul nostro cammino. Veniamo da un anno difficile e, pian piano ritorniamo alla normalità. Facciamo in modo che non sia un tornare a stanche abitudini, ma chiediamo a Dio di aprirci al soffio dello Spirito. La lettera del nostro Vescovo:
“Occhi”, può aiutarci a compiere questo percorso di vita che stiamo iniziando insieme.

Don Emanuele

Re in servizio

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Scarica la locandina con gli orari delle celebrazioni per l’ingresso del nuovo parroco

Avete mai provato a mettervi a testa in giù e osservare il mondo? Pavimento di nuvole, cieli di prato e tutto molto strano che si muove lì in mezzo. Solitamente quando i bambini fanno questo gioco, dopo un po’ la mamma interviene per rimettere in ordine la situazione, evitando che “il sangue vada alla testa”.
Gesù invece, ci invita continuamente a fare questo gioco!
Cambiando prospettiva, scambiando il posto a vincitori e vinti, rivoluzionando la nostra idea di ciò che è potente e forte, facendoci vedere (con l’esempio!) che si
può essere re anche quando si lavano i piedi agli altri.
Lo sanno bene le mamme e i papà che compiono quotidianamente tanti gesti di servizio e cura, anche faticosi.
Proviamoci e scopriremo piccoli dettagli di cura e amore su cui soffermarci, esercizio buono per la nostra vita.
(da Vita Trentina del 17 ottobre 2021)

Senza cadere nel patetico…

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Carissimi Ravinoti e Romagnani, alla fine di un lungo periodo passato insieme, giunge l’ora dei saluti.
C’è già stato quello “ufficiale” due domeniche fa; ce ne sono stati altri personali di gente che ha voluto esprimermi la sua simpatia in queste ultime settimane, gente che ringrazio di cuore.
Mancavano i miei: adesso che è arrivata l’ultima domenica ci stanno anche quelli.
Che dire? So che non vi aspettate frasi ad effetto, anche perché sapete che non sono nel mio stile. Poche parole, semplici
e sincere.
Voi siete stati le comunità (diciamo pure la comunità) con la quale sono rimasto più a lungo; sono rimasto qui per dodici anni, un record di permanenza per me.
Mi sono trovato bene con voi e mi pare di poter dire che un certo lavoro nella vigna del Signore l’abbiamo svolto anche bene, con serietà, con passione e con impegno, riuscendo a valorizzare i talenti di ognuno e riuscendo a superare le difficoltà e le incomprensioni che ci siamo trovati ad affrontare.
Non tutto è stato perfetto, è ovvio. Coi giovani, l’ho già detto, non sono riuscito a creare un dialogo e me ne dispiace; sono anche consapevole che in alcune situazioni non ho agito proprio con saggezza, e qualcuno s’è sentito ferito…; sono i limiti personali che ci portiamo tutti dietro, le righe storte sulle quali però il Signore sa scrivere diritto.
E io sono convinto che il Signore ha scritto belle pagine (righe storte o diritte che siano) nella vita di ciascuno di noi e che continuerà a scriverle, guidandoci con la sua Parola e con il suo Spirito.
A don Emanuele lascio due belle comunità cristiane (e anche qualche gatta da pelare, a dire il vero), disponibili a lasciarsi interrogare e a dare risposte generose.
Me ne vado con molti bei ricordi nel cuore e anche con un pizzico di nostalgia.


Arrivederci.
Un abbraccio.

don Gianni.

Testimoni e profeti

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Ce lo ricorda papa Francesco, in questo mese missionario: siamo profeti se riusciamo ad essere testimoni.
Testimoni di che? Di che cosa ha bisogno l’umanità di oggi?
Di tante cose, ma direi soprattutto di speranza. Di convinzione che le cose possono migliorare.
Con l’impegno di tutti, si dice.
Eh no! Se aspettiamo l’impegno di tutti, non ci muoveremo mai.
Con il mio impegno. So che non è sufficiente, che non basta. Ma è l’unica cosa che posso garantire. Ed è questo che è necessario per migliorare e aiutare a migliorare.
Ed il Signore mi garantisce che non sono un illuso, che anche il mio contributo, per quanto piccolo, serve.
E allora la mia testimonianza si illumina del sorriso della profezia.
Quella profezia che assicura che esiste già quello che ancora non è evidente del tutto: che siamo tutti fratelli.
Un caro saluto.

don Gianni.

Avvocati delle cause perse?

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Noi credenti rischiamo di passare spesso come “avvocati delle cause perse”, nel senso che insistiamo nel proporre temi, comportamenti, idee che sembrano non avere più gran seguito fra la gente.
Esempi? Beh, l’aborto potrebbe essere il primo. Probabilmente sono fuori dal mondo, ma proprio non ce la faccio a pensare all’aborto come in primis un diritto assoluto della donna. Per quanto mi sforzi, il diritto del bambino non nato torna inevitabilmente a occupare lui il primo posto.
Altro esempio: l’attenzione ai migranti, che viene sottolineata in questa domenica. Anche qui, papa Francesco in testa, non siamo in molti a parlare di accoglienza.
Adesso, complici i profughi afghani che non possiamo far finta che non ci siano, le polemiche si sono un po’ assopite, ma il sentire comune lo sappiamo tutti qual è.
Naturalmente non ci abbattiamo e non ci arrabbiamo se altri la pensano in modo diverso. Con serenità e (speriamo) coerenza, annunciamo quello in cui crediamo.
Un caro saluto.

don Gianni.

Parole, parole, parole….

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Perfino papa Francesco, parlando del mare di parole in cui siamo immersi e dal quale siamo disorientati, citava la canzone di Mina che cantava: parole, soltanto parole fra noi.
Eppure la parola è una bella cosa. Non pensiamo soltanto al disagio di qualche parola storta, detta o ricevuta, che ha rotto purtroppo qualche relazione o ci ha avvelenato l’anima.
Pensiamo anche alla dolcezza provata quando abbiamo sentito una parola giusta detta al momento giusto.
Pensiamoci con un grazie.
Oppure alla dolce sorpresa quando siamo riusciti ad entrare, con una parola dettata dall’affetto, nel cuore di qualcuno, provocando o favorendo qualcosa di bello.
E sentiamo tutti, ne sono certo, l’impegno a far sì che le nostre parole siano sempre meno parole vuote e sempre più parole che si fanno concrete, che diventano vita.
E allora capiamo perché Gesù lo chiamiamo “il Verbo, la Parola”, e capiamo anche, almeno un po’, che la “Parola si è fatta carne”.
Un caro saluto.

don Gianni.